La ricerca antropologica sulle tradizioni lunigianesi ci informa che, secondo una credenza popolare, quando arriva il giorno dei morti, tutti i defunti tornano nella Valle in corteo, il corteo dell’Andura, e si dirigono alle loro abitazioni di un tempo, ne riprendono il possesso per quella giornata. I vivi per questo motivo escono di casa la mattina e ci ritornano la sera, lasciando ai propri congiunti defunti il pieno possesso dei loro antichi luoghi di vita.
Nel racconto, invece, la processione si svolge ogni mese, quando la luna è piena. E Marì se la trova davanti all’improvviso, una notte d’estate.
Chissà che paura si prova a incontrare il corteo dei Morti, mi dicevo tra me vedendo questa scena scorrere davanti ai miei occhi, dentro alla mia immaginazione: io scapperei subito!
Marì però è più coraggiosa di me, si avvicina e li affronta.
E scopre così che i Morti non sono così tremendi come si pensa! Sì, forse qualcuno lo potrà anche essere, ma quasi tutti sono miti e desiderosi di aiutare i loro discendenti, con consigli e una visione diversa delle cose …
Così i percorsi dei vivi si intrecciano con quelli dei morti, nel ricordo, nella consapevolezza che ciò che abbiamo intorno, nel bene e nel male, lo abbiamo ricevuto da quelli che ci hanno preceduto, che ci hanno aperto la strada.
Questo ci fa capire che anche noi stiamo aprendo strade per quelli che verranno, costruttive o distruttive: le nostre azioni non sono insignificanti, hanno un seguito, un peso nel futuro.
Credo che sia molto importante fare questo passo, confrontarsi anche coi Morti, ascoltare le loro storie, chiedere consiglio a loro che hanno già vissuto. Ci sono i loro documenti a testimoniarlo, le lettere, i libri scritti da loro, i ricordi tramandati, da un certo momento in poi anche le loro fotografie e i filmati…
La terra che calpestiamo è piena delle impronte del passato, così ci è stata data, nel bene e nel male. Ci si impoverisce a ignorarlo, a dimenticarlo …»
Quando ero piccola, non pensavo mai alla morte. O meglio, qualche volta sì. Perché, dentro a giornate spensierate oppure tutte concentrate sulla scuola, qualche volta all’improvviso mi veniva addosso questo pensiero della morte, la morte mia o dei miei cari, come un enorme pipistrello nero che copriva tutto l’orizzonte con le sue ali, e allora per me era angoscia. Ma, con grande mia desolazione, non ne potevo parlare con nessuno, quello della morte era un argomento che non si toccava nelle nostre conversazioni, i grandi ci volevano proteggere da questo pensiero.
Non credo che fosse giusto. Non si protegge dalla morte un essere umano, per piccolo che sia, impedendogli di parlarne. Perché la morte si affaccia in molti modi nella nostra vita, e sempre ci accompagna, a volte in modo invisibile e discreto, magari come un pensiero pauroso, o con le notizie del telegiornale, a volte si presenta imprevista nei nostri giorni, come una violenta esplosione distruttrice.
È molto meglio introdurre la sua conoscenza, per quanto sia possibile conoscere qualcosa che di per sé è tremendo. Le antiche tradizioni ci vengono in aiuto, ci ricordano che i bambini non venivano completamente esclusi dal contatto coi loro parenti morti, anzi venivano accompagnati a questa conoscenza … anche in questo caso dobbiamo imparare dal passato, rivisitandolo con le nuove consapevolezze del presente.
Naturalmente il discorso della morte è legato a quello che viene dopo la morte … per me la morte non è la fine di tutto … questa non è un precetto vincolante, è la mia posizione personale: non credo che un fenomeno così complesso e misterioso come la coscienza, col suo corredo di affetti, si possa annullare in modo definitivo. D’altra parte, anche credere che la morte annulli tutto è appunto un credo, come ha dimostrato in modo inequivocabile un grande pensatore che si chiama Immanuel Kant. Ma qui il discorso si fa un po’ complicato.