«Perché avevo voglia di alberi, di verde sconfinato e un po’ selvatico! Quello che mi ricordava la mia infanzia nella pianura! La pianura della mia infanzia era coltivata in modo naturale, con la sapienza della tradizione, e conservava ancora molti luoghi incontaminati. Purtroppo col trascorrere del tempo incontaminata non lo è stata più.
Ho vissuto tanti anni a Milano, i primi anni con tanto entusiasmo, anche se sentivo l’aria pesante della città e mi turavo un po’ il naso per non respirare lo smog. Avevo lasciato il paesello, ero finalmente nella grande metropoli piena di vita!
Negli anni però quell’entusiasmo si è smorzato: la città sa essere emotivamente fredda, a volte perfino inospitale! Come Marcovaldo nei racconti di Italo Calvino, mi sbirciavo sempre più alla ricerca del verde nei rari parchetti della città: mi sedevo sulle panchine all’ombra di tigli o di ippocastani secolari e attraverso i loro rami guardavo il cielo.
Per molti di quelli che vivono controvoglia in campagna gli alberi diventano trasparenti. E anche il cielo. Non contano. Gira però un’aria nuova.
È una bellissima iniziativa quella di piantare alberi! Globalmente vuol dire ridare fiato al Pianeta soffocato dal CO². Localmente vuole dire invertire una tendenza a provare scarso interesse per l’ambiente che ci circonda e ci aiuta a metterci in gioco per salvare dallo stravolgimento o dall’abbandono i nostri luoghi di origine.
Anche Marì, la protagonista delle mie “Storie di Marì di Vallesmilza” ama gli alberi, lei addirittura ci parla! Forse perché, provenendo da Stramonio non ha le nostre limitazioni mentali, trova naturale quello che noi non sappiamo più pensare possibile, e che invece i nostri lontanissimi antenati, o almeno alcuni di essi, i “maghi-guaritori”, praticavano: una comunicazione empatica e profonda con la natura, da cui trarre conforto e guida.»